La nota politica

 
 
 

 

 

La Cei scende in campo

Per i vescovi contano più le convinzioni personali che i programmi

di Francesco Nucara

Non ci permettiamo di mettere in discussione il fatto se la Cei davvero riesca a rappresentare in modo univoco tutta la variegata sensibilità del mondo cattolico.

Rispettiamo l’autorevolezza della Conferenza episcopale e ascoltiamo i suoi messaggi con attenzione. Ci chiediamo soltanto se tali messaggi, ormai abituali, siano opportuni in campagna elettorale. Per il ministro Meloni, ad esempio, si tratta di appelli con un loro vasto significato culturale. Ma non è detto comunque che cultura e politica si possano coniugare perfettamente, e in modo neutrale, in una campagna elettorale per le amministrative. Perché un conto è dire: siamo contrari all’aborto e al furto; un altro è affermare: non votate chi è per l’aborto, e magari chi ruba.

Può accadere, per assurdo, che in un Comune un candidato sia sospettato di essere un ladro, mentre il suo rivale si dichiara abortista. Se non ci sono altre alternative - o ce ne sono solo di perdenti, come in questo caso - un buon cattolico cosa dovrebbe fare per seguire il monito della Cei? Astenersi? Sprecare il voto?

Non ci sembra il caso di aprire un conflitto di coscienza tanto grave in vista di un semplice appuntamento amministrativo. E se, ovviamente, chi ruba danneggia la pubblica amministrazione (e si comprende che non vada votato anche se non ce lo dice la Cei), non capiamo quali effetti deleteri possa avere, in merito alla gestione di un Comune o di una Regione, il dichiararsi pro aborto (diritto, fra l’altro, garantito dalla legge italiana).

A meno che l’abortista non sia uno che voglia "imporre" l’aborto a chiunque (caso assurdo), il richiamo della Cei ci sembra se non altro forzato, anche perché è evidente che tutta l’attenzione non è puntata contro il ladro ma contro l’abortista.

In questa campagna elettorale per le regionali c’è una famosa abortista candidata alla guida della Regione Lazio, Emma Bonino, che, come si sa, non ha mai avuto buoni rapporti con l’episcopato, e non solo per l’aborto, ma anche sul tema dell’eutanasia. O perché i Radicali - vedi Pannella la settimana scorsa in un’intervista a Sky - si piccano di essere gli eredi dell’illuminismo e di Voltaire. Il punto è che è singolare l’idea di scegliere un candidato alla guida di una Regione importante come il Lazio sulla base della sue convinzioni personali e non sulla base dei suoi programmi, visto che la Bonino non può essere accusata di furto.

Buon senso vorrebbe che i cittadini decidessero serenamente se la Bonino è o non è un soggetto valido per l’incarico a cui si candida, limitatamente a ciò che intende fare. Perché, oltre al problema morale e culturale nell’ambito della gestione della cosa pubblica, c’è anche e soprattutto un problema di competenza.

Potrebbe infatti darsi il caso di un candidato che non è abortista, non ha rubato (e soddisfa per questi suoi requisiti la Cei) ma è un assoluto incompetente. Allora ci permettiamo di suggerire al cardinal Bagnasco che l’elezione di questo personaggio, cioè l’incompetente, potrebbe procurare danni culturali e morali superiori rispetto a chi è favorevole all’aborto. Del resto, come sosteneva Benedetto Croce, il cretino non andrebbe votato nemmeno se onesto.

E se dovessimo essere noi dei maestri di morale, come lo è la Conferenza episcopale, avremmo un autentico motivo di imbarazzo a consigliare cosa sia giusto e cosa sia sbagliato sostenere nella complessità sociale del mondo contemporaneo. Per questo non invidiamo la Cei e le sue adamantine sicurezze; che, se messe in atto, potrebbero anche causare autentici disastri.

Roma, 23 marzo 2010